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Fausto Podavini, Omo change. © Fausto Podavini. 1 / 2       Fausto Podavini, Omo change. © Fausto Podavini.

Omo change: la fine di un mondo

Cosa c'è dietro alla crescita dell'Etiopia, la cui economia ha fatto segnare tassi di crescita media superiori al 10%? E come mai questi numeri sono più o meno il doppio di quelli che si possono riscontrare nella media della regione?
Per trovare una risposta bisogna partire dall'altopiano etiopico dove nasce il fiume Omo, che dopo una corsa di oltre 750 chilometri, va ad alimentare il lago Turkana, affrontando un dislivello di circa 2000 metri. Proprio quest'ultimo rende il fiume particolarmente interessante per lo sfruttamento dell'energia idroelettrica e, infatti, lungo il suo corso sono state edificate tre dighe (Gilgel Gibe I, Gilgel Gibe II e Gilgel Gibe III) ed è prevista l'edificazione di altri due sbarramenti.
In particolare la costruzione dell'ultima diga (Gibe III), ha permesso di raddoppiare la produzione di energia elettrica, creando però gravissimi squilibri nell'ecosistema dell'area.

Fausto Podavini, I bambini di etnia Karo giocano nella sabbia sulle rive del fiume Omo, Etiopia, 2011, dalla mostra La fin d'un monde in esposizione allo Chemin des libellules nell'ambito di Festival Photo La Gacilly 2018. © Fausto Podavini.
Fausto Podavini, Bambini di etnia Karo giocano nella sabbia sulle rive del fiume Omo, Etiopia, 2011, dalla mostra La fin d'un monde in esposizione allo Chemin des libellules nell'ambito di Festival Photo La Gacilly 2018. © Fausto Podavini.

La diga Gibe III ha permesso di fornire energia all'economia etiopica in piena espansione e all'esportazione, alimentando altresì un complesso sistema di irrigazione per lo sviluppo agricolo. Le conseguenze, tuttavia, non hanno tardato a colpire le popolazioni residenti lungo il percorso dell'Omo. Tanto il governo etiope, quanto quello keniota sostengono a spada tratta la Gibe III, negando che la sua costruzione abbia provocato conseguenze negative all'ecosistema. Di fatto, però, le economie locali basate su pesca, allevamento e agricoltura hanno subito gravi danni a causa del sensibile rallentamento del corso d'acqua che, ad esempio, non è più in grado di dar vita alle piene annuali sulle quali si sosteneva l'agricoltura locale. Nel breve volgere di pochi anni, quindi, tutta una serie di tradizioni ancestrali è stata spazzata via e le stesse popolazioni sono state spostate per liberare le terre affittate a imprese straniere per la produzione agricola di alto valore, destinate alla produzione di cotone o canna da zucchero. In base alle stime prodotte dalle ONG che lavorano in loco, la costruzione della più alta diga d'Africa (ben 243m) ha prodotto conseguenze fortemente negative su più di 100.000 persone che vivevano nella valle dell'Omo a fronte di una produzione annua di circa 6.300GWh di energia idroelettrica.

Fausto Podavini, Due ragazze di etnia Mursi si preparano a tornare al loro villaggio, dopo essere andate a prendere un po' d'acqua in un pozzo. Entrambe indossano reggiseni dati loro dai turisti occidentali, Ethiopia. Mago National Park. 2017, dalla mostra La fin d'un monde in esposizione allo Chemin des libellules nell'ambito di Festival Photo La Gacilly 2018. © Fausto Podavini.
Fausto Podavini, Due ragazze di etnia Mursi si preparano a tornare al loro villaggio, dopo essere andate a prendere un po' d'acqua in un pozzo. Entrambe indossano reggiseni dati loro dai turisti occidentali, Ethiopia. Mago National Park. 2017, dalla mostra La fin d'un monde in esposizione allo Chemin des libellules nell'ambito di Festival Photo La Gacilly 2018. © Fausto Podavini.

Tutto questo è stato raccontato da Fausto Podavini che, a partire dal 2011, per ben sei anni ha seguito le vicende che si sono alternate in queste terre documentando, con caparbietà e passione, le conseguenze dell'edificazione e messa in opera della diga Gibe III tanto sul territorio, quanto sulle popolazioni che insistono sull'area. Il lavoro di Fausto Podavini prende le mosse dagli ultimi anni di costruzione della diga, realizzata dall'azienda italiana Salini Impregilo, per concludersi nel 2017 anche grazie al supporto offerto da un Grant della Fondazione Yves Rocher.

Durante la visita alla mostra La fin d'un monde di Fausto Podavini in esposizione allo Chemin des libellules nell'ambito di Festival Photo La Gacilly 2018. © FPmag.
Durante la visita alla mostra La fin d'un monde di Fausto Podavini in esposizione allo Chemin des libellules nell'ambito di Festival Photo La Gacilly 2018. © FPmag.

Non starò a dilungarmi sulle qualità del lavoro di Fausto Podavini – che ha ricevuto riconoscimenti certamente più importanti del mio, come il second prize stories nella categoria Long-Term Projects al World Press Photo 2018 (vedi qui sotto link nella sezione RISORSE ESTERNE). Quello che mi preme sottolineare è invece l'importanza di lavori di lungo termine come questo. Inutile ribadire le difficoltà, anche solo banalmente di natura economica, che si incontrano nell'affrontare progettualità di questo tipo. Non si può quindi non lodare l'impegno di chi si fa carico per tanto tempo di perseguire e portare avanti un progetto fotogiornalistico per svariati anni, che solo in questo modo e con tempistiche estremamente prolungate consente di documentare le trasformazioni profonde che noi esseri umani apportiamo sul territorio e sulla nostra vita o quella dei nostri simili. [ Sandro Iovine ]


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LA FIN D'UN MONDE
di Fausto Podavini
Chemin des libellules - La Gacilly (Francia)
2 giugno – 30 settembre 2018
ingresso: libero


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RISORSE INTERNE
[ FPtag ] Festival Photo La Gacilly 2018: il punto di vista della redazione
[ FPtag ] Festival Photo La Gacilly 2017: il punto di vista della redazione
[ FPtag ] Festival Photo La Gacilly 2016: il punto di vista della redazione
[ eventi ] Festival Photo La Gacilly 2015

RISORSE ESTERNE
Fausto Podavini
World Press Photo 2018 | Long-Term Projects Secondo Prize stories | Fausto Podavini
Festival Photo La Gacilly

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pubblicato in data 08-08-2018 in NOTIZIE / VIDEO

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