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i© Ugo Lucio Borga/Echo Photojournalism.

Le conseguenze dell'antropizzazione sul paesaggio non si limitano a mutare l'aspetto esteriore dei luoghi, ma possono rendere letteralmente invivibile l'ambiente su cui insistono, trasformando un fiume, un tempo fonte di vita, in causa di malattie e morte per chi vive nelle sue vicinanze

È in Bangladesh che scorrono le acque del fiume Buriganga. Quando l'attuale capitale venne fondata nel 1610 il fiume era contemporaneamente arteria per i traffici commerciali con il resto del Paese e fonte di acqua potabile. Oggi, quasi 21.600 metri cubi di acque reflue industriali finiscono quotidianamente nel Buriganga. Ogni giorno circa 150 tonnellate di agenti inquinanti solidi raggiungono la costa.
«L'inquinamento del Buriganga è causato al 60% dalle concerie, al 30% da altre attività parastatali come i cantieri e al 10% dagli abitanti della città – dice Jamil Sharif, attivista e fondatore di Buriganga River Keeper – Non vi è alcun segno di vita nel fiume, e la situazione peggiora di anno in anno. Il Buriganga ha dato vita a Dacca, ma ora la sta uccidendo».
Per Human Right Watch, l'associazione internazionale per la difesa dei diritti umani, gli oltre quindici milioni di abitanti di Dacca subiscono continuamente una violazione sistematica dei propri diritti utilizzando l'acqua proveniente dal fiume avvelenato. Nel Buriganga si possono trovare senza problemi cromo esavalente, mercurio, acido solforico, formaldeide, toluene, cadmio e cromo acetato, oltre a residui di carne e pellami.
Secondo il rapporto Toxic Tanneries, stilato da Human Right Watch nel 2012, nelle acque del Buriganga è infatti facile trovare, come se non bastasse, gli scarti organici di lavorazione delle concerie, contenenti a loro volta agenti fortemente inquinanti per l'uomo. Scarti che, oltretutto, vengono in genere utilizzati nella produzione di mangimi animali per pesci e pollame.
Sono migliaia i casi di intossicazione grave, spesso con conseguenze mortali sia per i lavoratori impiegati nelle concerie sia per chi vive nelle zone circostanti. Tentare di difendere il fiume, però, può essere ancora più pericoloso che immergervisi, come testimonia la morte di Aminul Islam, attivista ucciso nell'aprile del 2012: sul suo corpo furono trovate chiare tracce di tortura. Oltre trentacinque attivisti sono stati uccisi o risultano scomparsi dopo aver cercato di rendere consapevole la popolazione circa i rischi derivanti dall'inquinamento del Buriganga.
Non è un caso, probabilmente, che molti proprietari delle concerie siano anche membri del governo o di multinazionali coinvolte nel business della manifattura delle pelli che, si stima, avere un volume d'affari di circa 400 milioni di dollari l'anno.

[ Sandro Iovine ]

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Ugo Lucio Borga - Nato nel 1972, Borga è un fotogiornalista pluripremiato, specializzato nel reportage di guerra e sociale. Ha viaggiato tra Africa, Asia, Sudamerica, Medioriente ed Europa e i suoi articoli e reportage sono apparsi su molti quotidiani, riviste, tv e radio sia italiane sia straniere. Tra queste: The Guardian, The Observer, Die Zeit, La Vanguardia Magazine (Spain), Courrier International (Francia), Die Presse (Austria),Tyzden (Repubblica Slovacca), Haaretz, Gazeta Wyborcza (Polonia), Alpha Magazine (Emirati Arabi Uniti), Africa Magazine, L’Espresso, Il Sole24Ore, Panorama, Rolling Stone, La Stampa, Vanity Fair, Il Venerdi di Repubblica, Il Corriere della Sera, Rai3, Rainews24, Channel4, Radio24 e RadioRSI. Ha realizzato numerosi ampi reportage da paesi come Siria, Libia, Somalia, Rwanda, Kosovo, Mali, Guinea, Sry Lanka e Indonesia, coprendo eventi come la Primavera araba, la guerra civile in Somalia, Libia, Siria, Repubblica Democratica del Congo (RDC), Repubblica Centrafricana (RCA), nonché gli scontri di matrice religiosa nel nord del Libano. Nel 2009 il suo documentario sulla guerra in Somalia è apparso su Channel 4, mentre nel 2011 ha ricevuto il Novinarska Cena Journalism Award. Dal 2013 è parte della Echo Photojournalism.

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