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FPschool - la tua scuola di fotografia a Milano!

iIl crollo della borsa, l’attacco nucleare su Hiroshima, ma al 23 di via Troutman, si stava peggio.
© Marc Asnin.

Uncle Charlie di marc asnin

Il trentennale lavoro realizzato da Marc Asnin all'interno della propria famiglia, raccontando il disagio e la quotidianità claustrofobica dello zio, che potrebbe, per certi versi, essere emblema di una condizione sociale al di là dell'individuo.

«Lo zio Charlie dice di non aver mai avuto un amico. Nessuno lo ascoltava prima e nessuno lo ascolta ora. Dopo trent’anni passati a fotografarlo, sono l’ultimo rimasto, l’unica costante presenza nella vita di Charlie». Sono le parole con cui Marc Asnin introduce il suo lavoro, che è indubbiamente una storia intima della sua famiglia. Uno spazio dedicato a un uomo che con tutti i suoi non pochi e non piccoli problemi ha vissuto una vita di sempre maggiore isolamento, fino a passare le sue giornate chiuso all'interno di una stanza a guardare fuori dalla finestra. Nei trent'anni in cui Asnin lo ha ripreso, trascrivendone i giorni spesso surreali e sempre privi di ascolto da parte del mondo, ha tracciato un ritratto che va oltre lo zio Charlie. La sua vicenda non è solo quella di un uomo colpito dalla sorte, ma per certi versi ricalca, elevandolo a potenza, il destino di tutti noi nell'arco della nostra esistenza. «Lo zio – ricorda Asnin – ha sempre considerato la sua vita una tragedia non raccontata, spesso paragonata a quella di Hiroshima. Così, ha avuto l’occasione che ha sempre desiderato per tutta la sua vita: essere ascoltato».

iMio padre seduto alla finestra aspettando l’arrivo di Godot, ma Godot mandò il suo messaggero.
© Marc Asnin.

iHa piovuto in eterno.
© Marc Asnin.

Marco AsninMarc Asnin - Ha pubblicato su numerose testate, quali Life, Fortune, The New Yorker, The New York Times Sunday Magazine, French Geo, La Repubblica, Le Monde e Stern. I suoi lavori sono stati esposti in musei e gallerie negli Stati Uniti e in Europa, tra i quali al MOMA, al Baltimore Museum of Art, al Moscow Museum of Modern Art, alla Steve Kasher Gallery e alla Blue Sky Gallery, al National Museum of American Art, all’International Center of Photography, al Museumof the City of New York, al Portland Museum of Art, al Zimmerli Art Museum e al Schomburg Center. Numerosi i riconoscimenti conseguiti: Robert F. Kennedy Journalism Award, W. Eugene Smith Grant per la fotografia umanitaria, Mother Jones Fund per la fotografia documentaristica, National Endowment for the Arts Fellowship, New York Foundation for the Arts e the Alicia Patterson Fellowship. Il suo lavoro è inoltre apparso su libri quali Uncle Charlie (Contrasto 2012), The New York Times Magazine Photographs (Aperture 2011), After Weegee (Syracuse University Press 2011), New York 400 (Running Press, 2009), Blink (Phaidon Press, 1994) e Flesh & Blood (Picture Project 1992).

South Africa's Post-Apartheid Youth di krisanne johnson

A venti anni dalla conquista della democrazia il Sud Africa può vantare un'intera generazione di uomini e donne nati all'indomani dell'abolizione dell'Apartheid, ma chi sono e come vivono?

Li chiamano Nati Liberi, sono i ragazzi e le ragazze, ormai maggiorenni, venuti al mondo dopo l'abolizione della segregazione razziale in Sud Africa. Di fatto la democrazia in un paese multirazziale come questo è qualcosa che non ha ancora assunto dei contorni definiti e facilmente riconoscibili. «Qui – afferma Lisa Nene, attivista per il diritto alla casa e orfana a causa dell’AIDS – dicono di essere liberi, ma la libertà è qualcosa che senti quando ti svegli la mattina così come la senti ogni giorno. Quindi dov’è la libertà se non la senti?» Negli ultimi anni il lavoro della Johnson si è spostato sempre dall'analisi delle sottoculture giovanili al racconto della quotidianità più privata dei giovani sud africani. Una quotidianità pesantemente condizionata da numerosi fattori, come la difficoltà nell’accesso all’educazione, la violenza tra le gang, la corruzione, la diffusione dell’HIV/AIDS, senza contare la disparità nei redditi percepiti. Un mondo di uomini e donne finalmente liberi, ma in cui più della metà dei giovani di età compresa tra i 18 e i 25 anni non trova lavoro.

iThabsile Brightness Sishi, 25 anni (a destra), conduce la processione funebre di sua zia Thembi Veze, assieme al fratello Bongumenzi Knowledge Sishi, 15 anni.
© Krisanne Johnson/Prospekt.
A proposito di Thabsile e Bongumenzi...
Thabsile e Bongumenzi hanno vissuto con la loro zia e i suoi tre bambini al Richmond Farm Transit Camp vicino a Durban dal 2009.
«Non posso dire che sia bello vivere nel campo, nessun posto dove giocare a calcio, nessun posto dove passare il tempo – dice Bongumenzi – È troppo pericoloso. Non c'è sicurezza. Stiamo aspettando di trasferirci, stanno ancora costruendo gli RDP. Ci hanno detto che dovremo aspettare ancora due anni».

iNkosinathi Dodi, 18 anni, di Khayelitsha, al parco acquatico Muizenberg durante una gita della Beth Uriel Home per i ragazzi svantaggiati a Cape Town.
© Krisanne Johnson/Prospekt.

A proposito di Nkosinathi Dodi...
La sua permanenza presso questa casa d’accoglienza è stata breve. «Adesso vive in un vecchio edificio abbandonato, ma lo vedo in chiesa – dice la direttrice del programma Linsday Henley – Da come appare, sembra che stia lottando con la droga».
«Per quanto noi cerchiamo di aiutarlo e per quanto bisogno lui abbia, non ha un’altra famiglia oltre a noi, ed è stato risucchiato dalla droga e dal fenomeno delle gang – dice Melvin Koopman, un altro dirigente della struttura.

iLisa Nene, 22 anni, guarda gli edifici che sono stati indicati per la demolizione vicino alla sua casa a Inanda, fuori Durban.
© Krisanne Johnson/Prospekt.

A proposito di Lisa Nene…
Lisa Nene ha perso entrambi i suoi genitori a causa dell’Aids prima di compiere 12 anni e da allora si è occupata delle proprietà di famiglia. Quando il governo ha provato a demolire le sue due baracche e la sua casa, e a trasferirla in un campo provvisorio, lei si è unita all’organizzazione Abahlali baseMjondolo. «Sebbene i nostri genitori ci abbiano raccontato storie strazianti – dice Nene – credo che finora abbiamo ottenuto solo metà della libertà che ci spetta».

Krisanne JohnsonKrisanne Johnson - Nata nel 1976 e cresciuta a Xenia, in Ohio, Krisanne si è laureata in Giornalismo alla University of Colorado. Si specializza quindi in Visual Communication all’Ohio University e, attualmente, risiede a Brooklyn, NY. Dal 2006, Krisanne lavora su due progetti a lungo termine incentrati sulle giovani donne e l’ HIV/AIDS in Swaziland e sulla cultura giovanile post-apartheid in Sudafrica. Ha vinto il World Press Photo, il Picture of the Year International e il Best of Photojournalism, mentre con il lavoro in Swaziland, intitolato I Love You Real Fast, ha ricevuto il W. Eugene Smith Grant in Humanistic Photography, un Getty Images Grant for Editorial Photography e il supporto del Magnum Foundation Emergency Fund. Le sue fotografie sono state in mostra presso il Visa Pour l’Image di Perpignan e la Polka Galerie a Parigi. Krisanne ha pubblicato su molti magazine e giornali tra cui Tine, The New Yorker e The New York Times.

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