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Woman At A Window, 2013. © Richard Tuschman. iWoman At A Window, 2013. © Richard Tuschman.

richard tuschman

hopper meditations*

«Ho detto che la luce di Hopper è particolare, che non pare colmare l'aria. Sembra invece aderire alle pareti e agli oggetti, quasi venisse da loro, quasi emanasse dai loro toni concepiti e distribuiti con così tanta cura. (Per toni intendo l'effetto congiunto di colore e luce e ombra). Un mio amico, il pittore William Bailey, mi disse una volta che le forme di Hopper portano con sé la sensazione della luce, e io penso che quest'affermazione sia vera. Nei quadri di Hopper, la luce non è applicata alla forma; piuttosto, i suoi quadri vengono costruiti dalle forme che la luce assume. La sua luce, in modo particolare la luce degli interni, riesce a essere convincente pur non essendo fluida»**

Mark Strand


Immobilità. Sospensione. Attesa di... non è dato sapere di cosa. La luce accarezza le figure, ma al tempo stesso le definisce e le svuota. Da comprimaria assurge, come si conviene quando si parla di fotografia, al ruolo di protagonista. Donne e uomini, disposti nello spazio profotografico con perizia compositiva, perdono la loro individualità, immersi come sono in una luce dinamicamente statica. Sembra di percepire il movimento degli elettroni che si agitano per creare onde di luce, ma tutto è immobile.

La separazione è netta, ma non contraddittoria. Uomini e donne sono cristallizzati in azioni che non hanno né passato né futuro, ma si dispiegano in entrambe le direzioni. Come corde tese tra l'infinito e la finitezza della condizione umana, tentano di unire poli contrapposti. Perciò le immagini, ancorché artefatte e idealizzate, risultano familiari.

Interni ed esterni dialogano pur rimanendo ben distinti, messi in relazione solo da quella... materia impalpabile che chiamiamo luce. Lo sguardo però rimane catturato nella spazialità delle camere. L'esterno non è più di una presenza inevitabile, certo, ma flebile. Lo sguardo non ha motivo di occuparsene. A dispetto del profluvio di indici di attivazione del fuori campo, ciò che accade oltre i limiti dell'inquadratura non riguarda lo spettatore. Tutta l'attenzione è verso ciò che accade all'interno.

A ben guardare l'occhio, dopo una passaggio fugace, non si sofferma nemmeno sui dettagli dell'interno. Sono funzionali alla composizione e all'armonia cromatica costruita su una gamma che spesso rimanda a un tempo del mattino in cui ancora tutto può accadere. Dove si ferma o dovrebbe fermarsi dunque l'occhio?

Sulla luce... abbiamo detto. Ma se la luce non avesse dove posarsi e creare ombre non riusciremmo a percepirla. Provi dunque, l'occhio, a fermarsi su ciò che materialmente la raccoglie. Accetti lo schiudersi di porte che s'aprono alla dicotomia tra materiale e immateriale. Provi a immergersi in quelle acque misteriose che gli si offrono foriere di osservazioni che impongono di non fermarsi, suggeriscono scavi ancor più profondi. L'occhio penetri in quelle figure che raccolgono la luce facendosene portatrici. Scruti l'invisibile. Sprofondi in quel gioco di scatole cinesi fatto di antinomie che conducono fin nelle viscere dell'animo universale. Arrivato per esclusione a considerare le figure, finalmente l'occhio si capaciti che non è quello il punto d'arrivo. È solo un altro trampolino che chiede di accettare quelle figure come segni, cui è delegato un ruolo simbolico. Solo quando quest'accettazione sarà compiuta, la tavola potrà rilasciare la sua carica elastica e proiettare l'occhio in quella condizione interiore sottintesa dall'autore.

Appassiona e trae in inganno il richiamo alle marche pittoriche della prima metà del Novecento. È un omaggio al genio e alla sensibilità di Hopper, primo cantore dell'incombente distacco tra mondo interiore e ritmi della società moderna, ma non è solo questo. Se partendo dal segno hopperiano riusciamo ancora a essere coinvolti dalla sua rilettura fotografica, probabilmente è perché il monito lanciato nella prima metà del Novecento è ancora valido. E non inganni la forma, mimetica sì, ma non per questo non in grado di affrancarsi e conquistare un propria autonomia formale testimoniata dall'ammorbidimento delle luci e da una preziosità nei corpi figlia di decenni intrisi di edonismo. Quel che però più conta è che quel sottile disagio avvertito al cospetto di un quadro di Hopper sia ancora presente e sia forse ancor più forte nelle immagini contemporanee: siamo passati dalla profezia alla concretezza della realtà.

Un disagio che, al di là della sua deriva sociologica, vede come protagonista un attore ben più antico delle immagini prodotte dall'uomo: il tempo. L'invincibile antagonista dell'idea stessa di esistenza. Quel tempo cui l'uomo tenta di opporre, fin da quando dalla sua stessa creazione, proprio l'immagine, pittorica o fotografica che sia. È il tentativo di arginare quell'ossessione tipica dell'essere umano impegnato a negare la propria caducità. Quel che ritorna sempre, quel rimane alla fine è però sempre lo stesso atavico interrogativo coevo alla nascita del pensiero cosciente: «[...] cosa ce ne facciamo del tempo e cosa fa il tempo a noi?» (***)
Ed è a questo che ci inchiodano le immagini.

[ Sandro Iovine ]


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(*) - Il progetto Hopper Meditations di Richard Tuschman è stato esposto ad Arezzo dal 2 all'11 dicembre 2016, nell'ambito di Arezzo&Fotografia.
(**) - Mark Strand, Edward Hopper, Donzelli editore, Roma, 2016; pag. 41.
(***) - Ibidem; pag. 35.



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[ RISORSE INTERNE ]

◉ [ eventi ] Arezzo&Fotografia 2016
◉ [ meltingpot ] Arezzo: le foto dello scandalo!
◉ [ meltingpot ] Censura di Arezzo: parla Onofri
[ post.it ] La Macchina col Buco

Woman Reading, 2013. © Richard Tuschman. iWoman Reading, 2013. © Richard Tuschman.

Woman In The Sun I, 2012. © Richard Tuschman. iWoman In The Sun I, 2012. © Richard Tuschman.

Pink Bedroom (Family), 2013. © Richard Tuschman. iPink Bedroom (Family), 2012. © Richard Tuschman.

Pink Bedroom (Daydream), 2013. © Richard Tuschman. iPink Bedroom (Daydream), 2012. © Richard Tuschman.

Hotel By Railroad, 2012. © Richard Tuschman. iHotel By Railroad (Daydream), 2012. © Richard Tuschman.

Morning In A City, 2012. © Richard Tuschman. iMorning In A City, 2012. © Richard Tuschman.

Pink Bedroom (Odalisque), 2013. © Richard Tuschman. iPink Bedroom (Odalisque), 2013. © Richard Tuschman.

Woman And Man On A Bed, 2012. © Richard Tuschman. iMorning In A City, 2012. © Richard Tuschman.

Woman Morning Sun, 2012. © Richard Tuschman. iMorning Sun, 2012. © Richard Tuschman.

Richard Tuchman, self portrait tratto da Hotel By Railroad, 2012. © Richard Tuchman.Richard Tuschman - Nato nel 1956 a New York, dove tuttora vive e lavora, ha studiato Belle Arti presso l'Università del Michigan, specializzandosi nelle tecniche di stampa e incisione e concentrandosi in particolar modo nelle procedure fotografiche utilizzate per la riproduzione tipografica, come la fotoincisione e la fotolitografia. Ha sempre utilizzato la fotografia come strumento per la sua pratica artistica, iniziando nei primi anni Novanta a lavorare con l'immagine digitale, grazie all'evoluzione della quale si è dedicato alla sperimentazione nel campo del graphic design, sviluppando uno stile personale in cui vengono sintetizzati fotografia, pittura e fotomontaggio.
Proprio con quest'ultima tecnica è stato realizzato Hopper Meditations, in cui alle scenografie, costruite con mobili e accessori per case di bambole ed elementi costruiti dallo stesso Tuschman, sono stati aggiunti in postproduzione i personaggi umani.
Il suo lavoro è stato esposto a livello internazionale, ottenendo importanti riconoscimenti e premi tra cui ricordiamo il Prix de la Photographie di Parigi (Medaglia d'oro della giuria popolare), Critical Mass Top 50 (primo classificato nella categoria Fine Art Projects) e il Center Project Launch Juror's Award (scelto da Roger Watson del Fox Talbot Museum). Le sue fotografie sono state pubblicate in numerose riviste e giornali online tra cui Slate, LensCulture, LensScratch e The Huffington Post.


Richard Tuschman
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