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i© Mario Badagliacca.

Frammenti di Mario Badagliacca

Per tanti, troppi uomini e donne affrontare il deserto, il mare, un viaggio non di rado fatale in cerca di una nuova esistenza è l'unica speranza di scampare a una morte certa. Storie ignorate che non lasciano traccia nella coscienza collettiva. A ricordarle rimangono solo gli oggetti che hanno accompagnato i migranti

Lampedusa compare all'orizzonte in genere dopo un lungo viaggio che taglia l’Africa sub-sahariana, il deserto e il mare.
Lampedusa mediamente appare alla vista dei migranti dopo un paio d'anni e un numero indefinibile di cadaveri.
Lampedusa è quella piccola isola del Mediterraneo, avamposto d'Europa, dove ogni anno i protagonisti delle contemporanee migrazioni transnazionali che hanno la fortuna di sbarcare ancora in vita vengono inseriti nei circuiti di identificazione e sanitari, dove subiscono una spoliazione, al tempo stesso reale e simbolica, dei loro beni e della loro individualità.
Lampedusa è quel posto dove le storie individuali e collettive sono ridotte a numeri di matricola.
Un gruppo di associazioni – tra cui l’Archivio delle Memorie Migranti, Askavusa e Progetto Isole – ha iniziato il recupero di alcuni loro oggetti personali nella discarica dell'isola. Successivamente la Biblioteca Regionale di Palermo ha provveduto al restauro grazie anche all’interesse di un noto quotidiano italiano che ha pubblicato un ampio articolo sulla vicenda di questi frammenti di memoria conservati all’interno di Porto M.
Spetta all'immagine sottrarre al buio dell'indifferenza oggetti che sono stati sostegno e fonte di identità e speranza per uomini e donne disperati. Spetta all'immagine farli tornare in vita, incastonandoli nel candore di uno sfondo volutamente asettico. Spetta all'immagine fargli narrare al mondo storie di individui, paura, aspettative e desideri di una nuova esistenza in Europa.

[ Sandro Iovine ]

i© Mario Badagliacca.

i© Mario Badagliacca.

i© Mario Badagliacca.

i© Mario Badagliacca.

i© Mario Badagliacca.
THE LAST OUTFIT OF THE MISSING
di Fred Ramos

Analogo nella forma al lavoro realizzato da Mario Badagliacca, anche se con finalità narrative differenti, è il lavoro del fotografo salvadoregno Fred Ramos, che ha vinto il primo premio Stories nella categoria Daily Life, del World Press Photo 2014, con The last outfit of the missing. In queste immagini Ramos racconta la realtà cruenta di El Salvador, il paese con il più elevato tasso di omicidi tra quelli registrati nel mondo intero. Molti di questi sono legati alle guerre tra bande per il controllo del territorio e sono caratterizzati da livelli di violenza difficilmente immaginabili, tanto che l'identificazione dei cadaveri spesso può essere effettuata solo attraverso il riconoscimento degli abiti. In questo senso fotografare gli ultimi vestiti indossati dalle vittime costituisce un agghiacciante ritratto della situazione del paese.

i© Mario Badagliacca.

i© Mario Badagliacca.

i© Mario Badagliacca.

Mario Badagliacca - Nato a Palermo nel 1980, Mario Badagliacca si è laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l’Università di Napoli L’Orientale. Durante i suoi studi a Napoli ha collaborato con diverse associazioni no profit. Dopo essersi trasferito a Roma, dove lavora attualmente, si è quindi diplomato in fotografia documentaria e fotogiornalismo. Il suo lavoro è focalizzato su tematiche sociali e locali, sviluppandosi in progetti di lungo periodo che riguardano soprattutto le comunità migranti in Italia e gli effetti che il contesto migratore produce. Collabora con diversi ricercatori e Università, tra le quali L’Orientale di Napoli, University of Oxford, St. Andrews University, e le sue fotografie sono pubblicate da giornali e riviste sia nazionali sia internazionali.

sito web

I graffiti della speranza di Daniel Patelli

Sui muri dei centri di prima accoglienza per migranti a Lampedusa, sono rimaste scritte in lingua araba che testimoniano il passaggio e le difficoltà affrontate da chi è costretto ad abbandonare la propria terra per continuare a sperare che esista un futuro

La scrittura è uno degli artefici più straordinari della memoria e della storia dell'uomo. Permette di fissare i ricordi e trasmetterli a noi stessi o agli altri. Consente perfino di valicare i limiti del tempo e di parlare ai posteri. Fa condividere stati d'animo, sfogare la rabbia o le frustrazioni, celebrare i momenti felici. E può essere affidata a infiniti supporti, dalla più comune carta all'intonaco di un muro.
Proprio su delle pareti, quelle di una grotta, rifugio atavico, è iniziata la storia del raccontare umano, condiviso attraverso le immagini. Prima ancora che la scrittura, come la intendiamo oggi, venisse inventata.
Ai giorni nostri è ancora alla scrittura che si affidano i pensieri. E nei momenti di difficoltà, come ai tempi delle caverne, è alle pareti del rifugio che si consegnano le proprie riflessioni.
Questo hanno fatto i migranti sbarcati a Lampedusa. Le tracce del loro passaggio sono testi inaccessibili alla maggioranza di chi si è formato all'interno della cultura occidentale. Più simili a ornati che a testi, possono destare curiosità quando si evolvono in forme sincretiche. Eppure al loro cospetto siamo di fronte a frammenti di storia scritti dai protagonisti di cambiamenti che, visti al di là della loro individualità, saranno ricordati probabilmente nei libri di storia. Registrarli per conservarli, sottrarli al loro luogo di origine e all'oblio, curarne la traduzione vuol dire compiere un piccolo enorme gesto che consente di avviare un processo di comprensione. Un processo che potrebbe addirittura portare a considerare gli autori di quei graffiti come esseri umani...

[ Sandro Iovine ]

iLa rotta da seguire.
© Daniel Patelli.

iProbabile riferimento a un quartiere di Tunisi.
© Daniel Patelli.

i«Non esiste altro Dio all'infuori di Allah e Muhammad è il suo profeta».
© Daniel Patelli.

i«Allah è sempre con noi».
© Daniel Patelli.
DIETRO LO SCATTO
con Daniel Patelli

Daniel Patelli racconta a FPmag come è nato e si è sviluppato il lavoro I graffiti della speranza, offrendo un'interessante apertura sul suo modo di operare sul campo.

i«In nome di Allah il clemente, il misericordioso».
© Daniel Patelli.

i«... che frocio!»
Insulto rivolto, molto probabilmente, allo scafista che ha condotto i clandestini verso l’isola di Lampedusa.
© Daniel Patelli.

i«18 anni».
© Daniel Patelli.

Daniel Patelli - Dopo una laurea in Scienze Biologiche presso l’Università degli Studi di Milano, Daniel consegue il diploma di Master in Fotoritocco Digitale, in Reportage, in Linguaggio della Comunicazione Visiva e in Tecnica fotografica presso l’Accademia di Fotografia John Kaverdash di Milano. Presso la Ninja Academy di Milano segue il corso di specializzazione in Non Conventional & Viral Marketing. Frequenta inoltre il workshop (fare) Fotografia nel cinema con il direttore della fotografia Luca Bigazzi. Dal 2009 al 2012 lavora presso un’azienda privata, con responsabilità nel settore marketing, fotografia, grafica e web design, pubblicando diversi lavori in ambito pubblicitario su quotidiani e inserti come La Repubblica, Tutto Milano, Vivi Milano (Corriere della Sera), La Stampa. Nell’aprile del 2011, segue il fenomeno dell’immigrazione clandestina sull’isola di Lampedusa, realizzando due reportage. Nel novembre dello stesso anno fonda, insieme ai fotoreporter Giordano Marconcini, Davide Aiello e Davide Caterino, il collettivo K4 – fotogiornalisti indipendenti, che propone reportage di informazione e sensibilizzazione su tematiche sociali. Con il collettivo K4, pubblica diversi reportage relativi a fatti di cronaca nazionale, come il terremoto in Emilia, la protesta dei licenziati dei treni notte, eventi politici e manifestazioni. Daniel si dedica costantemente alla fotografia artistica e alla ricerca personale, nonché all’organizzazione di corsi e workshop di fotografia, illuminazione e comunicazione visiva. Attualmente è direttore dello studio fotografico Spazio36, che svolge attività di noleggio sale di posa e location, attrezzature, allestimento set e luci, scenografie.

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