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iBlue Pigment Bottle, a sinistra, Flowers in Vase, a destra, dalla serie Morandi's Objects. © Joel Meyerowitz.

joel meyerowitz


morandi's objects*

«Questi quadri sono altrettanti esempi del modo unico e geniale che aveva Morandi di guardare le cose attorno a lui. E per me rappresentano altrettante prove di come gli oggetti, gli ambienti, le scene abbiano una vita propria»**

Ferzan Özpetek


Immergersi nella fascinazione dell'invisibile. «Mi chiedo – si interroga Joel Meyerowitz – qual è il segreto di questi oggetti che hanno tenuto Morandi sotto il loro potere per tutta la sua vita?». Solidi, quanto basta per raccogliere la luce. Concreti, quanto basta poter essere presi e messi davanti a un obiettivo. Algidi, quanto basta per essere un pretesto. Caldi, quanto basta per essere eterei. L'incontro con gli oggetti di Morandi è molto più di quanto non possa apparire. È un ingresso nel suo universo, uno spiraglio aperto sul suo percepire il mondo che l'immagine fotografica tenta di condividere. Gli oggetti non sono più tali, sono segnaposti nello spazio, necessari per portare avanti l'istanza di un'analisi del mondo raffinata. Difficile forse da partecipare, ma certo percepita dall'inconscio.

«Mi sono seduto al tavolo di Giorgio Morandi esattamente nello stesso posto in cui lui si è seduto per più di 40 anni. La stessa inclinazione della luce brillava su quel tavolo per me come allora per lui». È la luce la guida di chi parla con la fotografia. È lei che modella gli oggetti, li rende trasparenti. Che fa breccia in quella corteccia che impedisce di intuire i paesaggi della mente altrui. È la luce che supera le barriere del tempo e della morte. Risveglia l'eco di parole perdute che raccontano di come «nulla possa essere più astratto, più irreale di quello che effettivamente vediamo». (1)

È un tentativo di ritratto in contumacia già azzardato (2), ma con altri intenti e altro spirito. O forse, in ottica estetica, sarebbe più opportuno dire che è un tentativo di osservare l'invisibile nella sua incontenibile fascinazione. Gli oggetti che danzano statici davanti all'obiettivo tornano a essere ciò che furono nelle mani del pittore: simulacri, espedienti per rendere visibile all'occhio ciò che fu palese alla mente di Morandi. Ci pongono ineluttabilmente di fronte al mistero di cui sono latori e se ne fanno carico. Nel momento in cui compaiono in un'immagine, che sia del passato sulla tela o del presente in una fotografia, gli oggetti sembrano negare la loro stessa fisicità per sublimarsi in «una creazione, un'invenzione dell'artista, qualora egli sia capace di far cadere quei diaframmi, cioè quelle immagini convenzionali che si frappongono fra lui e le cose». (3)

È quindi il potere dell'immaginazione a far alzare le vele verso i lidi di una comprensione che alloggia in livelli che ai più sembrano essere negati. Ci troviamo di fronte a una capacità rara, quella di accettare di immergersi nel mistero che ci circonda. Quello di cui troppo spesso nemmeno ci rendiamo conto. È quasi come essere partecipi di un rito magico. L'immaginazione è un potere straordinario, ma non trova la propria forza solo in se stessa. Come direbbe Debray, la estrae da quell'infinito in cui piomba l'uomo che in esso trovi il coraggio di perdersi. (4)

E questo è l'invito che sembrano rivolgere le immagini di Morandi's Objects.

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(*) - La selezione di dieci immagini del progetto Morandi's Objects di Joel Meyerowitz, esposta presso Spazio Damiani (via dello Scalo 3/2 abc, Bologna) dal 23 ottobre 2015 al 29 febbraio 2016, è stata presentata, il 3 marzo 2016, anche presso il Leica Store Bologna (strada Maggiore 8/b, Bologna). Il volume Morandi's Objects è stato pubblicato da Damiani, Bologna.
(**) - Ferzan Özpetek, Appunti su Giorgio Morandi, in Morandi 1890-1964, a cura di Maria Cristina Bandera, Skira, Milano, 2015; pag. 72.
(1) - Morandi a Edouard Roditi, in Morandi 1890-1964, a cura di Maria Cristina Bandera e Renato Miracco, Skira, Milano, 2009; pag. 354.
2) - «Quindi mi piaceva riprendere la precisione un po' iperrealista ma con un certo margine di scarto, senza uccidere, senza eliminare definitivamente la possibilità di restituire un ritratto a distanza di quello che era la pittura di Morandi». Luigi Ghirri, Lezioni di fotografia, a cura di Giulio Bizzarri e Paolo Barbaro, Quodlibet, Macerata, 2010; pag. 48.
(3) - Morandi a Peppino Mangravite, op. cit., Skira, Milano, 2009; pag. 350.
(4) - Regis Debray, Vita e morte dell'immagine, Editrice Il Castoro, Milano, 1999; pag. 32.

iBlack Glass Vase Master Flat, a sinistra, White Bottles, a destra, dalla serie Morandi's Objects. © Joel Meyerowitz.

iSplit Head, a sinistra, Pitcher Wood, a destra, dalla serie Morandi's Objects. © Joel Meyerowitz.

iTall Metal Sliding, a sinistra, Pink Glass Decanter, a destra, dalla serie Morandi's Objects. © Joel Meyerowitz.

iRust Color Bottle, a sinistra, Shell, a destra, dalla serie Morandi's Objects. © Joel Meyerowitz.

Joel Meyerowitz - Nato a New York nel 1938, inizia a fotografare, esclusivamente a colori, nel 1962, inserendosi nella tradizione iconografica dettata da Henri Cartier-Bresson e Robert Frank. Proprio per l'uso del colore in un periodo in cui la fotografia si esprimeva quasi esclusivamente in bianconero, il suo ruolo nell'evoluzione della fotografia contemporanea si è rivelato fondamentale. Meyerowitz ha infatti contribuito all'accettazione generalizzata del linguaggio espresso ed esprimibile attraverso l'uso del colore. Nel 2001 è stato l'unico cui è stato consentito di fotografare Ground Zero all'indomani degli attentati dell'11 settembre e il suo lavoro è stato pubblicato nel volume Aftermath: World Trade Center Archive. Le sue opere sono presenti in importanti collezioni pubbliche e private, tra cui il Museum of Modern Art di New York, il Museum of Fine Art di Boston e The Art Institute di Chicago.

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