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i© Adriano Zanni.

«È troppo semplicistico dire, anche se sono stati in molti a dirlo, che io faccio un atto di accusa contro questo mondo industrializzato e inumano che schiaccia l’individuo e lo nevrotizza. Al contrario, la mia intenzione (anche se spesso uno sa molto bene da dove parte, ma non ha idea di dove arriverà) era di rendere la bellezza di quel mondo. Anche le fabbriche possono essere dotate di grande bellezza. Le linee rette e curve delle fabbriche e delle loro ciminiere possono essere anche più belle di un filare d’alberi che l’occhio ha già visto troppe volte. È un mondo ricco, vivo, utile»

Michelangelo Antonioni*

Tempo. Spazio. Possibilità.
Elementi connessi e interconnessi. Astratti nella forma, al punto da non poter essere percepiti se non in forma indiretta. Eppure si ritrovano consonanti e coincidenti nell'espressione visiva restituita dalle immagini. Il soggetto sono materialmente le strutture industriali dell’A.N.I.C. (Azienda Nazionale Idro Carburi), il polo chimico di Stato voluto da Enrico Mattei a cavallo fra gli anni Cinquanta e Sessanta. Nello stabilimento petrolchimico di Ravenna e nei suoi dintorni, all'inizio degli anni Sessanta, Michelangelo Antonioni decide di ambientare il suo nono film: Il deserto rosso. Il luogo è simbolo di modernità e progresso per l'epoca. Il problema inquinamento è ancora lontano dalla sensibilità comune (1). La colonna sonora del film – in cui i suoni delle fabbriche ottengono un effetto straniante sullo spettatore – segna in modo potente la pellicola.
E proprio dal suono riparte la ricerca sul campo che poi si evolve in immagine. Cosa è oggi, a mezzo secolo di distanza, quel luogo di produzione che all'epoca di Antonioni simboleggiava in qualche modo l'evoluzione del contemporaneo? La presenza umana è sempre più ridotta rispetto al passato, ma rimangono i fumi, le geometrie delle strutture, i suoni delle macchine. In un lavoro sintetico, i suoni e le immagini che abbiamo culturalmente separato con cura facendone (ad eccezione del cinema) arti rigorosamente separate, si ricongiungono.

Non lo fanno però utilizzando un unico supporto, bensì riproponendosi come elementi separati che concorrono al racconto di un luogo. Simultaneamente, però, restituiscono la dimensione del tempo, quello trascorso, quello che deve ancora raggiungerci, ma anche quello fotografico e quello senza il quale il suono non sarebbe possibile. E ancora lo spazio che impera, inneggiando alla grandiosa potenza del metallo, residuo di un'epopea di conquista dell'uomo sul dominio delle leggi di natura. E infine la possibilità, anzi le infinite possibilità, che si svelano di fronte allo scorrere del tempo e a un'attenta riflessione su quanto ci circonda.

[ La Redazione ]

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(*) - Jean-Luc Godard, Intervista a Michelangelo Antonioni (novembre 1964), ildesertorosso.it.
(1) - Valerio: «Perché quel fumo è giallo?» Giuliana: «Perché c’è il veleno.»
Valerio: «Allora se un uccellino passa lì in mezzo muore?» Giuliana: «Ormai gli uccellini lo sanno e non ci passano più. Andiamo» (Michelangelo Antonioni, Il deserto rosso, 1964; min. 1:52:00 - 1:52:28)


Audio tratto da Piallassa di Adriano Zanni


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i© Adriano Zanni.

LE CRONACHE DAL DESERTO ROSSO

Il progetto fotografico nasce come appendice e prosecuzione del lavoro di indagine e ricerca sulle mutazioni, avvenute fino ad oggi, del territorio nel quale il regista ferrarese ambientò il suo film più di cinquanta anni fa. Lavoro iniziato come ricerca sonora basata su registrazioni ambientali ( Field Recordings) effettuate nelle location originali del film. L’assemblaggio e la manipolazione elettronica di queste registrazioni è sfociata, nel 2008, nella pubblicazione di una composizione elettroacustica sotto forma di un CD intitolato Piallassa (Red Desert Chronicles) pubblicato dall’etichetta Boring Machines. Successivamente il progetto di ricerca si è trasformato in indagine fotografica. Il capolavoro di Antonioni rimane sullo sfondo di una visione concentrata sulle reliquie di un tempo, sulle mutazioni avvenute in questi decenni e sulle ferite lasciate aperte dalla selvaggia industrializzazione degli anni Sessanta, nella ricerca di ciò che resta delle atmosfere descritte da Antonioni. Le immagini e le suggestioni che ne scaturiscono diventano parte del lavoro fotografico Red Desert Chronicles (Postcards from Ravenna) realizzato sempre per l’etichetta discografica Boring Machines, qui in veste di Editore, che lo pubblica sotto forma di box in cartone serigrafato a mano e contenente 61 stampe fotografiche in bianconero su carta riciclata (Free Life Vellum 215 gr) sul finire del 2014.

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IL DESERTO ROSSO - Diretto da Michelangelo Antonioni nel 1964, rimane un film che si presta a interpretazioni controverse. Se da una parte il regista stesso nega che si tratti di una pellicola contro l'industrializzazione e le sue conseguenze, dall'altra è innegabile che il panorama umano e sociale che viene offerto appare alquanto compromesso e disumanizzato. La storia si dipana intorno alle vicende di Giuliana, moglie di un dirigente d'industria. Fortemente depressa, tanto da arrivare a tentare il suicidio con conseguente ricovero in una clinica psichiatrica, Giuliana non riesce ad adattarsi a un mondo che percepisce alienato e privo di reali valori e l'assenza del marito contribuisce ad aggravare il suo malessere. Unica persona che sembra comprenderla è Corrado, amico e collega del marito, anch'egli in realtà incapace di adattarsi pienamente alla realtà che lo circonda. Durante un'uscita con un gruppo di amici, Giuliana, all'interno di un claustrofobico capanno, percepisce l'enorme divario tra lei e l'ambiente che la circonda. Un'ennesima crisi ha luogo quando il figlio si finge malato apparentemente per non andare a scuola, ma in realtà per attirare l'attenzione della madre. Sconvolta, Giuliana corre a cercare Corrado, ma rimane delusa dalla partenza di lui per la Patagonia. Il film si conclude con l'inizio dell'accettazione da parte della donna del mondo all'interno del quale vive. Come si vede, il livello di lettura può essere stratificato in varie sfumature che vanno dal bieco romanzo rosa all'opera di denuncia di una società in dissoluzione. Se l'intervista di Godard lascia poco spazio all'interpretazione delle intenzioni di Antonioni, è comunque difficile non trovare senza sforzo altri livelli di lettura ben più critici nei confronti della contemporaneità.

i© Adriano Zanni.

i© Adriano Zanni (4).

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© Adriano Zanni Adriano Zanni - Fotografo, artista sonoro e field recordist, Zanni ha iniziato la sua carriera con la pubblicazione di musica e composizioni elettroacustiche, lavorando con diverse etichette discografiche europee ed esibendosi frequentemente dal vivo. Ha realizzato varie pubblicazioni fotografiche in edizioni web e cartacee, collabora con riviste di informazione locali della sua zona esplorando il territorio attraverso la fotografia e cura un fotoblog giornaliero su sito di informazione ilPost.it. I suoi lavori sono stati parte di mostre di arte contemporanea, progetti singoli e collettivi di web art, nonché di installazioni audio e video.

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