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iDaido Moriyama, Untitled, 1970s. Courtesy of the artist. © Daido Moriyama.

daidō moriyama

Moriyama in color*

«[...] Non so, forse sto aspettando qualcuno o forse sto per tornare a casa. Sono solo e resto immobile. Nel buco pieno di sabbia sono seppellite ombre spezzate di persone. Il terreno è secco e ruvido e ci sono suoni freddi. Forse il rumore di un'altalena che dondola o una canzone che qualcuno mormora in lontananza, o canti di uccelli. Il tramonto sembra infinito, non si fa mai buio»**

Ryu Murakami


Roma. Estate. Un po’ più di trent'anni fa. Su un palco all’aperto un gruppetto di giovani cammina lentamente seguendo traiettorie che consumano lo spazio. Un uomo li osserva attento. Mi colpiscono la magrezza del suo fisico reattivo e la testa rasata che riflette la luce che piove giù nell'ampio cortile.

I ragazzi si spostano strusciando i piedi sulle tavole, ginocchia leggermente flesse, bacino proteso in avanti, braccia morbide lungo il corpo. Quando si incontrano emettono un grido poco convinto. Kō Murobushi (1), l'uomo senza capelli che li osserva, fa fermare tutti. Non devono essere timidi, spiega. Il kiai (2) deve partire dal plesso solare, essere forte. Praticando arti marziali so che il kiai permette di... incontrare l’energia che scorre nel nostro corpo, concentrarla e liberarla nell’attacco. Ma cosa c’entra questo con la danza?

Nemmeno avesse potuto sentire i miei pensieri, Murobushi spiega che nel Butō (3) il kiai non serve per aggredire l’altro. Al contrario permette di incontrarlo davvero nell'incrociarsi delle infinite traiettorie possibili che scorrono nello spazio.

Quel vagare senza direzione predefinita sul palco non è lungi dall'essere una metafora. Quella di una condizione umana che ci vede spesso muovere nell'illusione di determinare la nostra direzione, mentre in realtà subiamo gli effetti di una sorta di clinamen (4) che arbitra la nostra esistenza.

Questa piccola tessera si stacca dal mosaico della memoria e riemerge ogni volta che i miei occhi incontrano le immagini di Daidō Moriyama. Analogo portato metaforico, pur nella sua concretezza, avverto infatti nel girovagare di Moriyama nelle strade del mondo. Una continua e inesauribile ricerca del senso di quel mistero costituito dal reale stesso con, da una parte, gli stimoli esterni che provengono dal mondo e, dall'altra, quelli interni originati dalla propria esperienza mnemonica. Moriyama è cosciente del fluire di un interscambio inarrestabile tra se stesso e il mondo. Si astiene dal giudizio, ma al tempo stesso non si limita a riprodurre ciò che incontra. La sua fotocamera indagatrice è partecipe del processo e si muove infatti su binari che intrecciano di continuo il contemporaneo reale e un passato reso presente dalla memoria. Il gesto fotografico irrompe quindi all’interno del flusso di scambio tra la realtà e l’autore, sancendo l’incontro di quest'ultimo con l’alterità. L'atto dello scatto assolve al ruolo del kiai nell’esercizio proposto da Murobushi, mettendo in contatto il ki individuale con quello universale. Una dualità che si scioglie dissolvendosi in quella frazione di secondo in cui l’otturatore si lascia oltrepassare dalla luce, in quell'istante in cui il vagabondo di professione si fonde con il viaggiatore dell’interiorità. (6)

[ Sandro Iovine ]

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(*) - La mostra Moriyama in Color è in esposizione a Modena presso il Foro Boario, via Bono da Nonantola 2, dal 6 marzo all'8 maggio 2016.
(**) - Ryu Murakami, Parco, in Tokyo Decadence, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2004; pag. 26.
(1) - Kō Murobushi (1947 - 2015) è stato considerato l'erede di Tatsumi Hijikata di cui è stato allievo, e ha il merito di aver fatto conoscere il Butō> in Europa.
(2) - Il 気合い (kiai) accompagna l'attacco nel combattimento e sottolinea i momenti di maggiore concentrazione nei kata. Il termine si compone dei kanji 気 (ki) e della base indefinita del verbo 合う (au). Il 氣 (気 nella grafia semplificata del kanji) indica l'energia vitale che pervade gli organismi viventi. Il verbo 合う (au) invece significa incontrare.
(3) - Il 舞踏 (butō) è una forma di danza contemporanea sviluppatasi in Giappone negli anni Cinquanta per opera soprattutto di Tatsumi Hijikata e Kazuo Ōno. Non è codificabile in una forma univoca di rappresentazione, ma mostra una serie di tratti comuni come l'esposizione del corpo, il fatto che questo sia dipinto di bianco, l'espressività a volte grottesca e spesso tragica che affonda le sue radici nel teatro classico giapponese.
(4) - Clinamen è il termine con cui Lucrezio traduce παρέγκλισις (parénklisis), parola con cui, nella fisica epicurea, viene indicata la deviazione spontanea che consente agli atomi di incontrarsi.
(5) - Moriyama nella raccolta di saggi Inu no Kioku (Memorie di un cane) fa un paragone tra due poeti, famosi per i loro haiku, vissuti durante il Tokugawa Jidai (1603 - 1868): Matsuo Bashō (1644 - 1694) e Yosa Buson (1716 - 1784), definendo il primo vagabondo di professione e il secondo viaggiatore dell’interiorità.
(6) - Akira Hasegawa, in Daidō Moriyama>, Visioni del Mondo, Skira, Milano 2010; pag. 19.

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[ RISORSE INTERNE ]
◉ [ mostre ]
Moriyama in Color: la mostra

iDaido Moriyama, Untitled, 1970s. Courtesy of the artist. © Daido Moriyama.

iDaido Moriyama, Untitled, 1970s. Courtesy of the artist. © Daido Moriyama.

iDaido Moriyama, Untitled, 1970s. Courtesy of the artist. © Daido Moriyama.

iDaido Moriyama, Untitled, 1970s. Courtesy of the artist. © Daido Moriyama.

iDaido Moriyama, Untitled, 1970s. Courtesy of the artist. © Daido Moriyama.

iDaido Moriyama, Untitled, 1970s. Courtesy of the artist. © Daido Moriyama.

iDaido Moriyama, Untitled, 1970s. Courtesy of the artist. © Daido Moriyama.

iDaido Moriyama, Untitled, 1970s. Courtesy of the artist. © Daido Moriyama.

iDaido Moriyama, Untitled, 1970s. Courtesy of the artist. © Daido Moriyama.

Daido MoriYama - © Stefania Biamonti/FPmag Hiromichi "Daidō" Moriyama* - Nato a Ikeda nella prefettura di Ōsaka nel 1938, è uno dei fortografi che maggiormente hanno contribuito alla trasformazione del linguaggio fotografico sradicando i canoni estetici classici. Tra i suoi maestri Shomei Tomatsu, fotografo a lui più vicino per sentire, ed Eikō Osoe, di cui è stato anche assistente. Nel 1968 vive in prima persona l'esperienza editoriale rivoluzionaria della rivista Provoke, appena tre numeri pubblicati, ma un segno tangibile lasciato nelle coscienze all'insegna dell'idea che «il mondo non è come noi pensiamo di conoscerlo a priori». Tra i suoi lavori più importanti ricordiamo Japan: A Photo Theatre (1968), Accident (1969), Kakudo (1972), Shashin yo sayōnara (1972), una sorta di di manifesto per la distruzione dei canoni fotografici vigenti in precedenza, Cherry blossom (1974), Tono Monogatari (1974), Hikari to kage (1982) e Memories of a Dog (2004), una raccoltadi fotografie e saggi pubblicati su Asahi Camera. Sue opere sono conservate presso il Museum of Modern Art di New York, il Metropolitan Museum of Art, il San Francisco Museum of Modern Art, il Getty Museum di Los Angeles, il Museo of Fine Arts di Boston e il Centre Pompidou di Parigi.

Foto:
© Stefania Biamonti/FPmag


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(*) - Noto al grande pubblico come Daidō, si chiama all'anagrafe Hiromichi, che altro non è se non una lettura poco convenzionale dei due kanji (大道) che compongono il suo nome. Normalmente, infatti, il primo carattere (大) si legge tai o dai in on yomi (lettura cinese) e ō in kun yomi (lettura giapponese), mentre in nanori yomi (una lettura riservata ai soli nomi) si può leggere, fra gli altri modi, hiro. Il significato di tai/dai/hiro è di grande, ampio, mentre il secondo carattere (道) si legge in on yomi e michi in kun yomi e vuol dire strada, via. Per i giapponesi è molto più naturale leggere il nome con la lettura cinese, che suona appunto Daidō, invece che Hiromichi, per questo a un certo punto della sua vita Moriyama ha deciso di smettere di corregere la pronuncia del suo nome accettando di essere conosciuto al mondo come Daidō.

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