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... and potentially dangerous (1984) di Andrey Semenov. © Andrey Semenov. i© Andrey Semenov.

andrey semenov

... and potentially dangerous (1984)*

«Pare che del nemico non si possa a fare a meno. La figura del nemico non può essere abolita dai processi di civilizzazione. Il bisogno è connaturato anche all'uomo mite e amico della pace. Semplicemente in questi casi si sposta l'immagine del nemico da un oggetto umano a una forza naturale o sociale che in qualche modo ci minaccia e che deve essere vinta, sia essa lo sfruttamento capitalistico, l'inquinamento ambientale, la fame nel Terzo Mondo»**

Umberto Eco



«Per la vostra protezione». È la scritta che polemicamente Alan Moore faceva campeggiare, già nel 1988, sotto una telecamera di sorveglianza nella seconda e terza vignetta della prima tavola di V per Vendetta. (1) La Londra di Moore, o l'ancor più distopico mondo orwelliano di 1984 (2), oggi sono diventati la realtà con cui ci confrontiamo quotidianamente. Videocamere di sorveglianza, telefoni cellulari, computer, sistemi di navigazione GPS, carte di debito, sono tutti strumenti con cui la tecnologia contemporanea ci facilita la vita, ma che in ogni momento possono trasformarsi in strumenti di controllo sotto l'egida di una garanzia di sicurezza sempre più ambita dall'uomo contemporaneo.

Se l'assenza di certezze è in parte connaturata all'uomo, non si deve dimenticare che nelle giuste mani questa peculiarità di trasforma con facilità estrema in strumento di controllo delle strutture socialI sulle quali si innesta. Un individuo inserito nella società contemporanea, preso singolarmente, non è quasi mai in grado di discernere con cognizione di causa da dove arrivino le minacce da cui si sente circondato. Quand'anche tenti di localizzarne le origini, ha buone possibilità di ricavare dalla sua indagine solo un senso di rassegnazione quando non di vera e propria disperazione per l'impossibilità, in quanto singolo, di raggiungere un risultato utile. (3)

D'altronde proprio in questa pangea di incertezze e minacce, reali o presunte che siano, affonda gli artigli il potere politico, assai abile nel manipolare a proprio vantaggio i colpi del destino. Se è vero secondo Bauman che di fronte ai grandi eventi l'azione individuale ha scarse o nulle possibilità di successo nella ricerca di un controllo e di una stabilità, è abbastanza agevole per un sistema politico strutturato fare in mondo che le ansie più profonde vengano canalizzate nella preoccupazione per la sicurezza personale. In compenso «I poteri statali locali possono sempre essere impiegati per chiudere le frontiere ai migranti, per inasprire le norme sul diritto d'asilo, per fermare ed espellere gli stranieri indesiderati sospettati di possedere inclinazioni odiose e condannabili. Possono mostrare i muscoli combattendo i criminali, essere "inflessibili nella lotta al crimine", costruire più prigioni, mandare più poliziotti in servizio attivo, rendere il perdono dei condannati più difficile e persino, per soddisfare i sentimenti popolari seguire la regola: "criminale una volta, criminale per sempre"». (4)

Qualcuno potrebbe obiettare che Bauman queste cose le abbia scritte prima dell'11 settembre 2001 e di tutti i più recenti avvenimenti connessi al terrorismo internazionale di matrice islamica. In realtà, però, la struttura del ragionamento di Bauman viene intaccata in modo superficiale dalla sovrapposizione di questi avvenimenti. Essi, infatti, hanno resa acuta quella che mi permetto di definire una sorta di... disforia sociale latente, ma questo riguarda solo marginalmente il processo in sé. Quindi da una parte è vero che in situazioni come quella attuale le giustificazioni per imprimere una sferzata ai controlli e imbottire gli obiettivi sensibili di poliziotti e militari sono facili da far metabolizzare all'opinione pubblica. D'altra parte, però, è altrettanto vero che credere nell'efficacia reale di queste misure nei confronti della minaccia terrorismo, si configura decisamente come un eccesso di ingenuità. Il vantaggio per chi detiene il potere non è identificabile primariamente nell'effettiva prevenzione dell'attuarsi delle minacce, quanto piuttosto nel tranquillizzante messaggio che quelle parti di popolazione meno avvezze a un ragionamento lucido recepiscono, dimostrandosi assai semplici da reclutare in un'operazione di coinvolgimento al potere delle masse.

Al tempo stesso la costruzione del nemico rappresenta, in prospettiva politica, uno straordinario fattore di aggregazione per opporsi alla minaccia che proviene dall'esterno. Il nemico per sua stessa definizione è alieno. Si riconosce perché nega i tratti fondanti della struttura di valori con cui si conferma la propria appartenenza al gruppo. Il nemico ha un altro colore della pelle. Il nemico crede in un altro Dio. Il nemico parla un'altra lingua oppure è un traditore che si è venduto. Il nemico esiste in virtù dell'alterità. Quella stessa che ci fa giudicare noi stessi come difensori del Bene in contrapposizione ai portatori di disumanità, eccezione deviata e deviante del reale. La realtà, però, non è così lineare. Il nemico non ha necessariamente l'aspetto del mostro. Lo ricordano la Arendt parlando di Adolf Eichmann (5) o Bauman riferendosi alle violenze praticate da bravi ragazzi americani ad Abu Ghraib (6). Ma negare l'esistenza di orchi alieni al nostro contesto socio culturale significa rimanere senza difese di fronte alle minacce.

Se il nemico non è necessariamente mostruoso nella realtà è però necessario che a proteggerci operativamente siano preposti soggetti che non si pongano il problema di analizzare criticamente le informazioni che la realtà pone loro di fronte. Essi devono essere disposti ad applicare gli ordini ricevuti con la debita dose di ottusità, eseguendoli in modo acritico. Ed è all'interno di questo contesto che nascono queste immagini. In sé rappresentano solo le postazioni di controllo con i monitor che rivelano il contenuto dei bagagli di alcuni passeggeri della metropolitana. Per dovere di cronaca le immagini sono state scattate a Mosca, ma in realtà questo dato è puramente contingente e concettualmente irrilevante. Potremmo esser in qualunque città del mondo dotata di una metropolitana. Il controllo ai raggi X dei bagagli è affidato a membri delle forze dell'ordine. A loro è richiesto di interpretare il ruolo assegnato in modo acritico e di procedere come stabilito dai loro superiori. Devono attenersi a codici di comportamento che impongono di ripetere sempre le stesse domande. Devono scoprire chi è potenzialmente pericoloso. Anche quando si rivolgano a un soggetto, come l'autore di questo progetto fotografico, ormai conosciuto. Anche quando l'evidenza delle azioni del soggetto sottoposto a controllo finisce per tingere di involontaria comicità i dialoghi.
«Che cosa stai facendo?»
«Sto fotografando».
«Per quale motivo?»
«Voi per quale motivo credete che lo stia facendo?»
«Perché sei un terrorista e stai preparando un attentato».

«Nei mesi in cui ho scattato – racconta Andrey Semenov – e negli anni precedenti in cui mi sono limitato a osservare gli schermi degli scanner (li vedo ogni volta che scendo in metropolitana più volte al giorno), non ho mai visto nulla di pericoloso all'interno dei bagagli: né pistole, né coltelli, né bombe, né spray al peperoncino, né tirapugni o simili. Niente. Mai». Non è importante che i controlli risultino positivi o negativi. Quel che conta è che qualcuno li faccia e che la cosa sia ben visibile. Lo stesso si può dire dei militari presenti nelle stazioni delle metropolitane di Roma e negli obiettivi sensibili delle maggiori città italiane. La loro efficacia nel malaugurato caso in cui un attentato dovesse essere portato a termine è tutta da dimostrare, sperando che non sia mai necessario. Il loro ruolo è però duplice e solo in apparenza contraddittorio. Da una parte alimentano con la loro presenza il persistere di quell'elevato livello di tensione che facilita il controllo delle masse da parte del potere. Dall'altra, sempre in virtù del loro essere in bella vista, assolvono a quella funzione di rassicurazione che rende stabile l'equilibrio delle emozioni dei singoli. In fondo basta non dimenticare che, come diceva Umberto Eco, «Avere un nemico è importante non solo per definire la nostra identità, ma anche per procurarci un ostacolo, per misurare il nostro sistema di valori e mostrare, nell'affrontarlo, il valore nostro». (7)

Le immagini che corredano questo portfolio dovrebbero farci riflettere proprio sulla nostra (in)capacità di sfuggire alle manipolazioni cui siamo esposti e cui ci consegniamo quotidianamente senza difesa o, peggio, nella convinzione che ciò sia nel nostro interesse. Difficile che meccanismi collaudati nei secoli e raffinati dalle tecnologie possano essere sradicati dall'animo umano, ma non dimentichiamo mai che, affinché la distopia si avveri, non è necessario arrivare al punto di dover leggere sulla facciata del Ministry of Truth:

WAR IS PEACE
FREEDOM IS SLAVERY
IGNORANCE IS STRENGTH (8)

[ Sandro Iovine ]


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(*) - Il progetto ... and potentially dangerous (1984) di Andrey Semenov è stato selezionato durante le Portfolio Reviews tenute a Kaunas, in Lituania, giovedì 8 settembre 2016, nell'ambito di Kaunas Photo.
(**) - Umberto Eco, Costruire il nemico e altri scritti occasionali, Bompiani, Milano, 2011; pag. 31.
(1) - Alan Moore e David Lloyd, V per Vendetta, Rizzoli, Milano, 2006; pag. 15.
(2) - «Il teleschermo riceveva e trasmetteva contemporaneamente. Se Winston avesse emesso un suono appena appena più forte di un bisbiglio, il teleschermo lo avrebbe captato: inoltre, finché fosse rimasto nel campo visivo controllato dalla placca metallica, avrebbe potuto essere sia visto che sentito. Naturalmente, non era possibile sapere se e quando si era sotto osservazione. Con quale frequenza, o con quali sistemi, la Psicopolizia si inserisse nei cavi dei singoli apparecchi era oggetto di congettura.Si poteva persino presumere che osservasse tutti continuamente. Comunque fosse, si poteva collegare al vostro parecchio quando voleva. Dovevate vivere (e di fatto vivevate, in virtù di quell'abitudine che diventa istinto) presupponendo che qualsiasi rumore da voi prodotto venisse ascoltato e qualsiasi movimento - che non fosse fatto al buio - attentamente scrutato». George Orwell, 1984, Oscar Mondadori, Milano, 2016; pag. 6-7.
(3) - cfr. Zygmunt Baumann, La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano, 2015; pag. 55.
(4) - Ibidem; pag. 58.
(5) - «Ma una mezza dozzina di psichiatri lo aveva dichiarato "normale", e uno di questi, si dice,aveva esclamato addirittura: "Più normale di quello che sono io dopo che l'ho visitato", mentre un altro aveva trovato che tutta la sua psicologia, tutto il suo atterramento verso la moglie e figli, verso la madre, il padre, i fratelli, le stelle e gli amici era "non solo normale, ma ideale"; e infine anche il cappellano che lo visitò regolarmente in carcere dopo che la Corte Suprema ebbe finito di discutere l'appello assicurò a tutti che Eichmann aveva "idee quanto mai positive"». Hannah Arendt, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, Milano, 2007; pag. 33-34.
(6) - cfr. Zygmunt Bauman, Le sorgenti del male, Erikson, Trento, 2013; pag. 51, 58.
(7) - Umberto Eco, Op. cit.; pag. 10.
(8) - George Orwell, op. cit.; pag. 6, 18, 29, 107. Traduzione: «LA GUERRA È PACE | LA LIBERTÀ È SCHIAVITÙ | L'IGNORANZA È FORZA».

... and potentially dangerous (1984) di Andrey Semenov. © Andrey Semenov. i© Andrey Semenov.

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Stazione della Metropolitana di Mosca. © Andrey Semenov.

Il progetto ... and potentially dangerous (1984) l'ho realizzato nella metropolitana di Mosca. Ormai da parecchi anni tutte le stazioni della metropolitana sono stati dotate di scanner speciali come negli aeroporti. Il personale di sicurezza della metropolitana può fermare qualsiasi persona e ispezionare i bagagli. Gli scanner si trovano nelle aree pubbliche della stazione e milioni di persone ci passano davanti ogni giorno.
Da un lato capisco le ragioni di chi gestisce metropolitana e le preoccupazioni per la sicurezza. D'altra parte, se si considera la cosa nel complesso generale di quanto accade in Russia, è difficile non inquadrarla come un'altra tessera di un totalitarismo in avanzata.
Il personale di sicurezza della metropolitana e i poliziotti hanno cercato di bloccarmi più volte durante gli scatti, anche se non stavo facendo nulla di illegale. Tutte le volte mi sono limitato a mostrargli un foglio che avevo stampato scaricandolo dal sito ufficiale della metropolitana, dove erano elencate tutte le regole di comportamento all'interno della struttura. Regole che mi ero premurato di studiare per bene proprio per evitare problemi. A volte è stato sufficiente, e mi hanno lasciato proseguire. Altre no. Una volta ho dovuto discutere con un poliziotto per circa quaranta minuti. Gli ho parlato di
1984 di George Orwell. Ma dubito che il romanzo lo abbia impressionato più di tanto, tuttavia mi ha lasciato andare. Probabilmente avrà pensato che ero un pazzo.
Mi sono abituato a questi tentativi di arresto. Più di una volta mi hanno fatto le stesse domande, ripetute come in un disco rotto: «Perché stai scattando?», «Per chi stai scattando?», «Dove saranno usate queste foto?»
Ho sempre spiegato che sono solo un fotografo, che le foto le scattavo per me e che non sono un giornalista. Di norma, però, nessuno mi credeva. Poi ho cambiato tattica e ho iniziato io a fare domande: «Secondo voi, che cosa ci faccio qui? Perché faccio le foto?» La risposta è stata sempre la stessa: «Stai progettando un attacco terroristico, è una questione di polizia».
Nei mesi in cui ho scattato e negli anni precedenti in cui mi sono limitato a osservare gli schermi degli scanner (li vedo ogni volta che scendo in metropolitana, più volte al giorno), non ho mai visto nulla di pericoloso all'interno dei bagagli: né pistole, né coltelli, né bombe, né spray al peperoncino, né tirapugni o simili. Niente. Mai.
In compenso nessuno del personale di sicurezza della metropolitana mi ha saputo spiegare in base a quali criteri vengono scelte le persone da ispezionare.
[ Andrey Semenov ]

Stazione della Metropolitana di Mosca. © Andrey Semenov.

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Andrey Semenov.Andrey Semenov - Nasce nel 1976 a Kostroma in Russia e nel 1993 si iscrive alla Kazan State University, frequentando la facoltà di Matematica Computazionale e Cibernetica. Nel 2006 si trasferisce da Kazan a Mosca e, nel 2015, studia fotografia con Elena Suhoveeva e Victor Hmel (Krasnodar, Russia).
Tra le mostre più importanti che ha realizzato ricordiamo il progetto Born to be Free, curato da Elena Sukhoveeva e presentato nel 2015 all'interno della collettiva Identification nell'ambito del PhotoVisa Festival di Krasnodar in Russia. Sempre in occasione del PhotoVisa Festival di Krasnodar nel 2016 ha presentato, all'interno del programma multimediale, il progetto Invasion curato da Irina Tchmyreva. Inoltre, nel 2015 ha vinto il secondo premio all'International Portfolio Review, anche questo nell'ambito del PhotoVisa Festival di Krasnodar.

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