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Dalla serie Made in USSR. © Alexandra PolinaiDalla serie Made in USSR. © Alexandra Polina.


alexandra polina

made in USSR*

«Migliaia di nuove emozioni, stati d'animo, sentimenti... Era come se ogni cosa fosse all'improvviso cambiata attorno a noi: le insegne, gli oggetti, i soldi, la bandiera... E l'uomo stesso. Era diventato più variopinto, distinto dagli altri, il monolito era stato fatto saltare in aria e la vita si era sparpagliata in isolotti, atomi, cellule»**

Svetlana Aleksievič


Quando penso a me stessa, a chi sono e cosa desidero, difficilmente metto in relazione le mie riflessioni con il mio essere italiana. Non lo reputo fondamentale, forse per scarso senso di appartenenza o forse, più probabilmente, perché non potrei comunque pensarmi altrimenti. Sono nata in Italia da genitori italiani, parlo italiano e ho sempre vissuto nel Bel Paese. In altre parole, l’Italia è parte di me e la mia identità, per certi versi, le appartiene.

Il concetto di identità è tuttavia complesso da definire. Dipende dalla prospettiva che si adotta.
Esiste infatti un'identità psicologica, ovvero «il senso e la consapevolezza di sé come entità distinta dalle altre e continua nel tempo»***, a cui di norma facciamo appello durante le nostre interrogazioni esistenziali, considerandola spesso come una sorta di scatola ermetica all'interno della quale l'essenza di ogni individuo può barricarsi e proteggersi. Nelle scienze sociali, però, tale concetto si espande, diviene ancor più liquido e stratificato, instaurando una correlazione forte tra quell'insieme di caratteristiche uniche, che rende in divenire ogni individuo unico e inconfondibile, con i cambiamenti sociali che lo circondano.

Cosa accadrebbe, dunque, alla mia identità se improvvisamente i cardini della società in cui sono cresciuta venissero fatti saltare e, con essi, il sistema valoriale di cui tale società era allo stesso tempo custode e conseguenza diretta? Come mi descriverei se, con un abile colpo di spugna, mi fossero sottratti sia i binari certi e storicizzati lungo i quali lasciavo correre la mia esistenza, sia l'alfabeto di riferimento attraverso il quale ero solita definirmi?

Il processo di ristrutturazione economica e sociale messo in campo tra il 1985 e il 1989 nell'ex Unione Sovietica da Michail Gorbačëv con la Perestrojka ha indubbiamente messo in moto un processo di trasformazione che, culminato nella caduta del muro di Berlino, ha determinato una profonda frattura tra un prima e un dopo, tra il progetto socialista di ieri e il sogno capitalista di oggi.
Tuttavia, per chi l'ha vissuta sulla propria pelle, questa cesura netta è andata ben oltre la questione politica ed economica, è divenuta identitaria, nel senso più ampio del termine. Chi fino al giorno prima si era identificato come sovietico, con il suo carico di principi, valori e definizioni di realtà e verità, il giorno dopo si risvegliava bielorusso, turkmeno, kazako, uzbeko... in un mondo nuovo che, con lingue improvvisamente diverse, rigettava apertamente tutto quello che gli era stato insegnato, propagandato, infuso con ogni mezzo.

«Ho chiesto a tutti quelli che ho incontrato: "Cos'è la libertà?" Padri e figli hanno risposto in modo diverso. Quelli che sono nati in URSS e quelli che sono nati dopo l'URSS non condividono la stessa esperienza, provengono da pianeti diversi»****. Pianeti che in Unione Sovietica si sono fugacemente sovrapposti proprio a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, implodendo l'uno nell'altro davanti agli occhi acerbi e impreparati di una generazione nata sotto la bandiera comunista e divenuta adolescente sotto il vessillo del capitalismo.

Uno slittamento culturale repentino che, come una slavina, ha travolto tutto scombinando il regno della realtà, dell'immaginario, delle apparenze percettive, svuotando di significato l'iconografia di riferimento. «I fatti che osserviamo dipendono da dove siamo e dalle abitudini dei nostri occhi», affermava Walter Lippmann*****. Facile intuire a quali conseguenze possa portare l'improvvisa deflagrazione di tali abitudini dello sguardo per quella generazione di mezzo prima descritta, l'ultima generazione di cittadini sovietici. Quelle immagini propagandistiche che avevano incarnato e veicolato l'identità sovietica sono infatti divenute per loro sempre più inconciliabili con la realtà che li circondava. Gusci vuoti, intessuti di simboli ormai sterili, ma sedimentati nel profondo della loro identità personale e incisi indelebilmente nei loro occhi come un tatuaggio sulla pelle.

Affidare all'intelaiatura del segno il compito di recuperare i resti di un'iconografia dismessa, specchio di un'identità collettiva coltivata con cura e poi improvvisamente rinnegata, si configura quindi come la volontà di sottrarsi a un'imposizione di riscrittura collettiva poco aderente al sentire del singolo individuo. Il tentativo di una generazione irrisa dalla Storia di interrogarsi sulla propria identità, senza la paura di guardare da vicino le molte e dissonanti pieghe di cui è composta.
È il ritratto di giovani donne e di giovani uomini della mia stessa generazione. Individui che ora rivendicano un'appartenenza negata e, al tempo stesso, cercano attraverso la riconciliazione con le proprie idiosincrasie verso il passato e il presente la via per ricomporre i pezzi di una identità nuova, probabilmente ibrida, ma davvero autentica.

[ Stefania Biamonti ]


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(*) Made in USSR (Made in URSS) è un lavoro fotografico che FPmag ha selezionato ad Arles durante le letture portfolio del Voies Off 2016.
(**) - Da Memorie di un complice di Svetlana Aleksievič in Tempo di seconda mano, Bompiani Vintage, RCS Libri S.p.A., Milano, 2016; pp. 13-14.
(***) - Definizione tratta da Treccani Online.
(****) - Da Memorie di un complice di Svetlana Aleksievič in Tempo di seconda mano, Bompiani Vintage, RCS Libri S.p.A., Milano, 2016; pag. 14.
(*****) - Walter Lippmann, Public Opinion, Free Press, New York, 1965; pag. 54.

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[ RISORSE INTERNE ]
◉ [ FPtag ]
Voies Off 2016


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Alexandra PolinaAlexandra Polina - Nata nel 1984 a Tashkent (Uzbekistan), Polina studia Giornalismo nella città natale, presso la National University of Uzbekistan e, nel 2012, si laurea in Arte e Design presso l'Università di Scienze Applicate a Bielefeld (Germania). Attualmente, frequenta un Master in Arte and Design e lavora come fotografa freelance.
La sua ricerca fotografica ha sempre gravitato attorno a due temi principali, l'immigrazione e l'identità, di cui analizza soprattutto gli aspetti sociali ed emotivi. Alexandra Polina ha infatti trascorso i suoi primi vent'anni nella terra natia, per poi trasferirsi in Germania: questa esperienza di vita privata ha inciso fortemente sul suo sguardo di fotografa e serpeggia ancora all'interno della sua produzione.
Grazie ai suoi lavori, Polina ha ottenuto diversi riconoscimenti e vinto alcuni concorsi, come il PhotoVision 2012, La Quatrième Image - The Fourth Image 2013 e il Photonic Moments Award 2014. I suoi lavori sono già stati esposti in molti paesi, tra cui Germania, Francia, Italia, Inghilterra e Lussemburgo.


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